La petizione dei fabbricanti di candele contro la concorrenza sleale del … Sole: “C’è un rivale straniero che sta inondando di luce il mercato interno a un prezzo incredibilmente basso. Il governo deve proteggerci: vi chiediamo di approvare una legge che richieda la chiusura di tutte le finestre, oblò, abbaini, lucernari, persiane, tende e veneziane …”
Frederic Bastiat, economista, scrittore e politico francese, 1801-1850, è seppellito a Roma nella chiesa di San Luigi dei francesi, famosa per le opere del Caravaggio.
La satira di Bastiat, (detto anche Bastiat Contrario), risale al lontano 1848, eppure questo intelligente sagace liberista aveva già lucidamente individuato le “fallacie economiche ed intellettuali” contro cui occorreva battersi, (allora), per evitare che l’economia potesse trasformarsi, sotto la spinta di pulsioni politiche, in una ideologia morale; cosa che fu poi realizzata alla grande dal duo Marx-Engels.
Insomma, John Maynard Keynes dimostrò pochi decenni dopo, (riprendendo i deliri dei fabbricanti di candele), come fosse facile uscire dal rigoroso sentiero della materia economica, per ritrovarsi poi aggrappati ad un dogma, ad una fede con un fardello in più, trattandosi di fede: nessuna uomo moralmente accettabile può permettersi di discuterla. Ma si sa, la fede, qualunque fede, prescinde dal contatto reale con le questioni della vita vera, più o meno organizzata. Non è un teorema, la fede: è un secco postulato, (poche le eccezioni, ma non è questa l’occasione per approfondire).
Friedric von Hayek, (1899-1992), nella sua introduzione ai “Selected essays on political economy”, (opera di Bastiat del 1848), scrive: … “È improbabile che anche solo una tra le fallacie economiche che si sperava Bastiat avesse ucciso, una volta per tutte, non sia risorta” … poi aggiunge … “La petizione dei fabbricanti di candele contro la concorrenza sleale del sole, in cui si chiede che vengano proibite le finestre per il beneficio che la prosperità dei fabbricanti di candele conferirebbe a tutta la società … secondo Keynes, in base all’assunto del pieno impiego e coerentemente con la teoria del moltiplicatore, la presente argomentazione, dei fabbricanti di candele, a piena validità” …
Tutto questo fa da sfondo o presupposto, fate voi, alle follie odierne, ne individua le origini e potrebbe aiutare a comprenderne i limiti, ammesso che qualcuno avesse intenzione di farlo, cioè uscire dal dogma e rientrare nell’alveo della materia economica, nel mercato vero, per capirci, dove i consulenti investono o dovrebbero investire.
Oggi siamo racchiusi in una bolla di buone intenzioni.
Che siano le attività delle banche centrali, i tassi, le cartolarizzazioni, i too big to fail, le sedicenti meraviglie della globalizzazione o altro, operiamo e viviamo immersi in un’economia finta, dipinta come libera soltanto su alcuni testi ed in qualche articolo di fondo, eppure mai liberata sul serio dei vincoli di un delirio molto spesso di … comodo. Un’economia dove quasi tutti i riferimenti teorici e tecnici della materia economica, sono superati dalle attività istituzionali: sì, ci siamo capiti, quelle volte a porre rimedio. La solita vecchia storia: si fa tutto a fin di bene. Basterà ripassare alcuni tratti salienti delle riflessioni proposte da Bastiat, per scoprire come una folgorazione la loro attualità, il loro perfetto ripetersi nel tempo: questi deliri, infatti, che siano presenti o passati, contengono la matrice della persistenza umana: sono pertanto facilmente comprensibili, decodificabili, alla luce di una ordinaria antropologia economica.
Non esistono buche gratis.
Bastiat sosteneva che i Lavori Pubblici producono vera ricchezza in un solo caso: quando forniscono alla collettività i beni necessari e di cui si avverte realmente il bisogno. La favola dell’opera pubblica utile in sé, anche soltanto per il fatto di generare lavoro, quindi consumi e Pil, è appunto una favola. Da un lato di questa medaglia, che è l’opera pubblica, c’è infatti l’operaio al lavoro per realizzarla, dall’altra però c’è un altro operaio, questa volta disoccupato, perché lo Stato ha prelevato risorse dal suo campo per destinarle all’opera pubblica. Questa è la finestra di Bastiat: ciò che si vede, contrapposto a ciò che non si vede.
Anche Napoleone era catturato da questa idea. Credeva infatti, racconta Bastiat, di fare opera filantropica facendo scavare e riempire canali. Diceva anche: “Che importa il risultato? Occorre vedere soltanto la ricchezza sparsa fra le classi operaie …” Vedete come colpisce il parallelismo tra questo approccio di allora e quello moderno, diciamo pure altrettanto delirante, che fa sostenere a moltissimi politici di oggi che “occorre redistribuire la ricchezza …”, spacciando questa idea come fosse la soluzione migliore per risolvere il problema della povertà, anziché tentare di comprenderne le origini, (tra cui, in prima fila, annoveriamo i miti della globalizzazione e della piena occupazione).
“L’anno scorso ero nella commissione finanze, racconta ancora Bastiat, e non c’era modo di far capire ai miei colleghi che se aumentiamo l’appannaggio del presidente, (come dei pubblici funzionari), dovremmo poi aumentare le imposte ed in tal modo renderemo più poveri agricoltori o terrazzieri: essi non potranno più completare la preparazione dei campi, oppure ripulire per bene gli argini. Se per un verso avremo più guadagni da parte di ristoratori e sarti parigini, dall’altro avremo campi meno lavorati e sponde meno sicure. Ciò che si vede e ciò che non si vede: una addizione non fornisce una somma diversa a seconda che là si svolga dall’alto verso il basso o viceversa …”
Al riguardo, per comprendere la continuità culturale di questi approcci, basterà ricordare la celebre frase di Keynes, in quanto al debito pubblico ed al peso di doverlo rimborsare: “tanto tra 100 anni saremo tutti morti …” diceva, altro che economia!
L’utopia dei soldi per tutti (oggi diremmo: i guai del credito politico).
Le azioni si contano, è vero, ma il vizio di pesarle, (nato nel dopoguerra con Cuccia), non ha ancora abbandonato del tutto il nostro sistema finanziario. Ebbene Bastiat già a suo tempo osservava che “in Francia si stava tentando di universalizzare la ricchezza universalizzando il credito”, (era metà dell’ottocento e già qualcuno intuiva il sorgere di fenomeni come la bolla del debito e delle cartolarizzazioni senza fine). Prestare soldi agli amici, anziché ai più meritevoli, non produce espansione in ogni caso, cioè l’espansione non si produce per il semplice fatto di immettere risorse nel sistema. In tal modo, infatti, si sottraggono risorse a chi è capace di sviluppare un buon reddito da quelle risorse, cioè a chi sa produrre espansione. È sempre in ballo il concetto di cose che si vedono e cose che non si vedono.
La Cassa per il Mezzogiorno ha inondato il meridione di migliaia di miliardi di lire, (questo è il primo lato della medaglia), ma nello stesso tempo ha sottratto quelle risorse ad altri, più efficienti, che avrebbero potuto trasformarle in una espansione strutturale, per sé e per gli altri: sotto i nostri occhi oggi vediamo il risultato di quella politica scellerata. Oggi il nostro sud continua ad essere fanalino di coda in tutto … e allora? Su questo tema si dovrebbe aprire una lunga analisi, essendo comunque in gioco il fattore umano, quindi morale, che nella vicenda meridionale ha giocato e gioca un ruolo determinante, ma sarebbe ben altro intervento.
E allora, diceva Bastiat, in nessun paese si possono passare da una mano all’altra più prodotti di quanti ce ne siano disponibili. Indipendentemente dalla somma di numerario e di carta che circola, tutti i mutuatari non possono ricevere più aratri, più case, più attrezzi, approvvigionamenti, materie prime di quanti tutti i prestatori insieme possono fornire. La differenza, insomma, la fanno i destinatari, quindi: se le risorse sono allocate presso i migliori, senza barare con aiuti di Stato pilotati o altre forme di raccomandazione, (pensiamo oggi alle nostre mafie), il risultato sarà eccellente, per tutto il paese, in modo duraturo e strutturale: i migliori si riproducono, con benefici effetti per tutti.
La svolta non è racchiusa nelle misure eccezionali.
Ciò che si concede ad uno, si nega all’altro, per via della limitazione oggettiva dei mezzi a disposizione. L’ingiustizia, ma soprattutto l’inefficienza economica, (con le conseguenze durature che produce), nascono da qui. Evitare che fallissero le banche è stata attività forse lodevole, ma il concetto della moneta a due facce di Bastiat risulta comunque vero e verificabile, anche in questo caso apparentemente estremo: se non si analizzano le motivazioni di un insuccesso, come si può consentire a chiunque di sopravvivere, e che mercato consegue a questo salvataggio universale? Nel ciclo economico successivo, questi attori inefficienti potranno tornare a riprodurre il proprio vizio, spargendolo per tutto il mercato. È stato impedito al mercato di presentare a costoro il conto: lo abbiamo pagato noi, ma senza intercettare alcuna responsabilità, tutti liberi ed assolti.
Ha un sapore americano la visione economica del signor Federic Bastiat, un sapore gonfio di saggezza e semplicità, rinnovata circa 100 anni dopo dalla Scuola Austriaca. Ebbene si pone oggi, davanti ai nostri occhi, proprio il tema di una corretta interpretazione della vicenda economica, a tutti i livelli. Sono ormai tanti, forse troppi, i fraintendimenti e le interferenze che si sono sovrapposti, dal dopoguerra ad oggi, passando anche attraverso ideologie politiche e religiose. L’interventismo, quello della peggiore specie, a pioggia, si è di fatto sostituito alla vigilanza, quella sì indispensabile per mantenere libero il mercato, assieme alla nostra libertà. Hanno usato dogmi e proclami per interferire con le leggi dell’economia, (leggi che il più delle volte costoro non conoscevano). Hanno lanciato anatemi contro il liberismo ed il mercato libero, accusati d’essere causa e cagione di ogni nefandezza, ed hanno mischiato anche il credo, (con il suo portato di cieca ubbidienza e di sequela), mettendo la fede nel calderone dell’interventismo: di nuovo abbiamo avuto crociate contro abbaini e finestre, oblò e lucernari, nel 20º secolo. Hanno celato al mondo il gusto semplice, umano illuminante delle leggi economiche.
La ricerca di “senso” nelle scelte di investimento.
Ora, quando parlo ai clienti di mercato, di ciò che è realmente il mercato, non posso fare a meno di sottolineare il valore della ricerca di senso, che è proprio quello che manca a questa nostra globalizzazione oramai trasformata in dogma. Essa riduce piccoli imprenditori in vetrine chiuse o laboratori incagliati per poi sostituirli con giganteschi monopoli, dove si perde la ricchezza della diversificazione: dov’è il senso? Un bosco vive di cespugli, ma vallo a spiegare agli interventisti che oggi impongono la globalizzazione come fatto positivo e moralmente doveroso, mentre mantengono intatto il loro interesse per i fabbricanti di candele: un vero e proprio cortocircuito.
Il mercato non è che una somma di interferenze nel breve, (Stato in testa), ma poi è tutto ciò che resta delle interferenze stesse. Insomma, non si può prescindere dalla analisi di queste interferenze, dalla conoscenza di queste interferenze, per arrivare a conoscere il mercato: perché il mercato vero, quello che vince sempre, è quello delle persone e delle famiglie. E allora, al mio cliente che dice di voler destinare una parte del suo risparmio alla costruzione di una scorta che lo sostenga tra circa 10-15 anni, suggerisco di mettere in pratica tutto ciò che ha letto sin qui: pesare le interferenze e lasciare il giusto tempo alle sostanze attive del mercato, quindi anche al tempo, affinché queste possono depositarsi tranquillamente sul fondo del contenitore, perché:
— i tassi a zero, o anche negativi, potranno forse impedire alle aziende sane di produrre utili, ovunque nel mondo?
— E quando un’azienda fallisce e la sua produzione si arresta, scompare forse con quell’azienda anche la domanda dei consumatori? Non viene questa soddisfatta dalle altre aziende? E questo non significa che il mercato e la rappresentazione del genere umano?
— I dazi impediranno forse alle persone e alle famiglie di adoperarsi per migliorare la loro condizione, ovunque nel mondo?
— L’Europa, l’euro, potranno forse fungere da diga di fronte ai desideri di vita e di progresso dei popoli europei ancora per molto?
— La vita è sempre soltanto espansione, come il genere umano, solo con alcune regole …
Quindi, cari risparmiatori, se volete investire saggiamente ricordate che le cose che fanno la differenza sono soltanto due: dove mettete i soldi e come lo fate.
Quindi:
— le attività produttive del mondo non conoscono sosta, ma solo un’altalena ritmica e strutturale che non produce danni, che va assecondata: mettete qui i vostri soldi e mantenete una scorta di cassa per i momenti di ribasso, per mediare sull’altalena … tanto dopo un po’ di tempo non sarà più necessario.
— Non fate i creditori.
— Eliminate le incertezze con i quattro passi: diversificazione elevata, guadagno giusto, restare sul mercato paga, scegliere sempre prodotti attivi più controllo.
— Ricordate che anche la disciplina determina il risultato.
Ecco perché suggerisco di familiarizzare con l’analisi di scenario. Senza una stima delle componenti del campo, (esplicitate e non, a partire da quelle umane), senza interpretarle, decodificarle, rischi di cadere nelle stesse buche che tu stesso hai creato. E se non arrivi a percepire le distorsioni provocate dalle interferenze, rischi di non vederlo affatto, quel campo di battaglia.
Dobbiamo riprendere nelle nostre mani il controllo del senso, l’interpretazione del senso, e partendo da qui ricostruire un rapporto sano e antropologico con il mondo e con il mercato. Che questo rapporto sia ecologico e naturale, cioè rispettoso di ciò che siamo e di ciò che il mercato è, per somma di presenze come di interferenze: lo facciamo con il cibo e con l’ambiente, perché mai trascurarlo con la nostra stessa storia?
Investire è un’arte semplice, difficile farlo capire.
Luciano Fravolini